USC: RECUPERO LISTE D'ATTESA, IL TEMPO NON ASPETTA

USC: RECUPERO LISTE D'ATTESA, IL TEMPO NON ASPETTA

Il piano di recupero della Regione rischia di essere una scatola vuota o piena di brutte sorprese. E i pazienti, ancora una volta, restano soli. La DGR 513/2025, approvata lo scorso 2 settembre, doveva essere la risposta della Regione Basilicata al grido di bisogno dei cittadini in lista d’attesa.

Lo dichiara in una nota l'Unione Sanità Convenzionata, che aggiunge: Un piano straordinario per “recuperare” entro il 31 dicembre 2025 le prestazioni che il sistema non è riuscito a garantire nei tempi previsti dal Piano Nazionale di Governo delle Liste d’Attesa (PNGLA).

Sulla carta tutto sembra chiaro: ogni Azienda Sanitaria avrebbe dovuto assegnare alle strutture private accreditate specifiche prestazioni, quantità e risorse per smaltire gli arretrati dei cittadini ancora in attesa, e per rispettare i tempi stabiliti dalle classi di priorità nazionali: U (urgente) entro 72 ore; B (breve) entro 10 giorni; D (differita) entro 30 giorni per le visite e 60 per gli esami strumentali; P (programmabile) entro 120 giorni.

In teoria il meccanismo è semplice e di buon senso: se una visita o un esame supera il tempo massimo, la prestazione deve essere affidata – e finanziata – a chi può garantirla subito, pubblico o privato che sia.
È il principio stesso che ha ispirato il DL 73/2024, convertito in legge, voluto dal Ministro della Salute per restituire ai cittadini tempi di cura certi e accesso equo alle prestazioni.

Ma in Basilicata, come troppo spesso accade, la realtà si è persa nelle nebbie della burocrazia.
Siamo al 6 novembre, e del piano di recupero – a due mesi dalla scadenza – si conoscono solo i numeri scritti sulla carta, non quelli della realtà. Le prestazioni e le quantità indicate nella tabella allegata alla DGR 513/2025 potrebbero infatti non esistere concretamente, o non corrispondere a pazienti effettivamente in lista. Sarebbe uno scenario surreale: un piano per “recuperare” esami e visite che, semplicemente, non ci sono o non sono recuperabili su pazienti in lista. Un piano di carta, non di cura.

Per comprendere come si sia arrivati a questo punto, va ricordato che la DGR 513/2025 non nasce nel vuoto. Oltre che sul DL 73/2024, si fonda su due pilastri regionali: la DGR n. 152/2025, che ha approvato il Piano Regionale di Governo delle Liste d’Attesa, recependo il PNGLA nazionale 2019–2021; e la DGR n. 329/2023, che ha fissato le regole del CUP unico regionale, la visibilità delle agende, il divieto di agende chiuse e l’obbligo di monitoraggio per pubblico e privato accreditato.

Tutte norme che, se davvero applicate, dovrebbero garantire tracciabilità, coordinamento e trasparenza.
Eppure la confusione regna sovrana. E non si tratta di un dettaglio amministrativo: si tratta del tempo di vita e di speranza dei pazienti.

Perché non basta approvare una delibera per ridurre le attese. Serve che ogni prestazione individuata esista davvero, che ogni paziente sia identificato e contattato, che ogni contratto con le strutture sia sottoscritto e operativo, che i Cup Manager aziendali abbiano validato ogni voce, e che il RUAS regionale eserciti il proprio controllo. E serve soprattutto che le risorse non restino nei cassetti, ma arrivino a chi deve usarle per curare.

Le norme e le delibere regionali impongono condizioni rigide e condivisibili: prestazioni erogabili solo se rientranti tra quelle elencate nell’allegato; solo di “primo accesso”; solo da prenotazioni obbligatorie sul CUP regionale Amico CUP e validazione da parte dei Cup Manager; sottoscrizione di contratti formali con le strutture accreditate.
Condizioni sacrosante, ma inutili se restano inapplicate o – peggio – se si scopre che mancano i pazienti su cui si è fondata la DGR 513/2025. Un piano di recupero ha senso solo se parte da liste reali, non da numeri senza fondamento. Altrimenti il rischio è doppio: non recuperare nulla e spendere comunque tutto non si sa come, in spregio alla legge e al buon senso. E questo, in sanità pubblica, sarebbe un tradimento inaccettabile.

Per queste ragioni, l’Unione Sanità Convenzionata (USC) ha chiesto formalmente alla Regione di rendere pubblici e trasparenti i dati effettivi delle liste d’attesa e dello stato di attuazione del piano, come impongono le norme nazionali sulla trasparenza amministrativa e sull’Anticorruzione. Un atto dovuto, non solo per rispetto della legge, ma per rispetto dei cittadini.
Le poche informazioni che filtrano, infatti, sono frammentarie e allarmanti e rendono urgente una verifica pubblica dei numeri dichiarati e dei risultati effettivi.

C’è un caso emblematico che basta da solo a far capire l’intero problema: Polimedica, struttura accreditata che aveva dichiarato disponibilità immediata per 1.700 TAC su 4.912 iscritte in delibera, ad oggi non si è vista assegnare nemmeno una sola prestazione sull’agenda attiva del CUP regionale.
Dobbiamo allora chiederci: non ci sono TAC in lista d’attesa? Com’è possibile? I pazienti che attendono non sono veri? Qualcosa non torna. E intanto le strutture pronte a lavorare restano ferme. Un paradosso che parla da sé.

Il silenzio del Dipartimento alla Salute su questi aspetti non è più sostenibile. Se non arriveranno risposte chiare e pubbliche, l’USC è pronta a procedere con una formale istanza di accesso agli atti e con una comunicazione agli organi nazionali di vigilanza, perché il quadro che si sta delineando in Basilicata rischia di configurarsi come una distorsione grave della missione ministeriale.

Il Ministro della Salute ha più volte ribadito che la riduzione delle liste d’attesa è una priorità assoluta del Governo, e che ogni euro destinato a questo scopo deve tradursi in prestazioni reali ai cittadini.
Ma qui, in Basilicata, quella missione sembra essere tradita: le risorse rischiano di essere spese in spregio alle regole.

Se confermato, sarebbe un caso nazionale, perché non si tratta di un errore tecnico, ma di un cortocircuito istituzionale che nega il diritto alla salute e mina la fiducia dei cittadini.
Una vicenda che merita di essere attenzionata anche dalla cronaca nazionale, perché dietro ogni statistica c’è una persona che attende una diagnosi, un esame, una speranza. E il tempo della cura, per molti di loro, potrebbe non attendere oltre.

 


 

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