Quanto cammino c'è da fare per raggiungere la parità effettiva tra uomo e donna? Quali sono le difficoltà maggiormente segnalate dalle donne lucane? Quali sono i settori dove le prevaricazioni sono più striscianti? Tutte domande che abbiamo rivolto alla consigliera regionale di parità, Ivana Pipponzi, ospite dei nostri studi per il format Visioni.
"Purtroppo il ruolo della consigliera di parità è ancora poco conosciuto dalle stesse donne ma anche dagli operatori del diritto, nonostante fondi le sue radici dal codice sulle pari opportunità che ormai ha oltre 30 anni. E' un codice lungimirante perché nell'istituire questa figura che rappresenta sul territorio il ministero del lavoro e delle pari opportunità, ha previsto che le sue funzioni fossero anche di pubblico ufficiale, nel contrasto ai fenomeni di discriminazione di genere sui posti di lavoro.
Tra gli esempi, la mancata applicazione di tutele lavoristiche come la flessibilità oraria, il part time, l'induzione alle dimissioni o i licenziamenti per motivi legati alla maternità. "Condotte assai gravi che vanno ad inficiare la libertà della donna soprattutto di conciliare lavoro e maternità. Proprio quelle condotte che vanno a vulnerare la parità uomo donna e costituiscono la base del gender gap".
Quali sono le casistiche più comuni in Basilicata? "Via via negli anni si sono rivolte tantissime lavoratrici discriminate ma anche qualche lavoratore uomo al quale non sono stati riconosciuti i permessi per allattamento. Ultimamente sto registrando una condotta discriminatoria sempre più strisciante, quella di non prorogare il contratto di lavoro quando una lavoratrice è in attesa.
In questi casi ci si può rivolgere all'ufficio della Consigliera di parità per telefono, via mail, ma anche attraverso una pagina dedicata sul sito che si chiama Io ti ascolto, grazie alla quale si può avviare il procedimento compilando un form.
Nel caso in cui riscontriamo effettivamente una discriminazione sul lavoro e quindi la competenza del nostro ufficio, convochiamo la parte datoriale per contestare la condotta discriminatoria e chiedere di eliminare la condotta discriminatoria. Spesso però si verifica quella che viene definita vittimizzazione secondaria, cioè si instaura un giudizio o un pregiudizio sul posto di lavoro e ci possono essere ritorsioni da parte del datore di lavoro. Questo può avvenire soprattutto nel caso delle molestie sessuali, per questo le lavoratrici sono più restie a formalizzare la denuncia".